Aggressioni fisiche, prese in giro o dicerie e maldicenze ripetute all'infinito nel tempo verso i più deboli: il bullismo, in tutte le sue forme continua a essere un fenomeno molto diffuso nell'ambiente scolastico. Che si auto-alimenta in una spirale, tra silenzio, paura, o tacita approvazione dei compagni, che rende il bullo sempre più forte. Come si può tutelare il proprio figlio? I consigli degli esperti per affrontare la situazione
Ogni mattina si ripete la stessa scena:
il ragazzino accampa un sacco di scuse, mette il muso, dice di sentirsi
poco bene... Sembra proprio che la scuola, improvvisamente, sia
diventata un incubo e lui non vorrebbe mai andarci. Ma non parla, elude
tutte le domande di mamma e papà ed è chiuso come un riccio. In una
situazione di questo genere, ai genitori il dubbio può sorgere
spontaneo: per caso, non è che mio figlio sia vittima di atti di
bullismo?
Il fenomeno, sempre più spesso al centro di fatti di
cronaca, coinvolge bambini e ragazzi dalla scuola primaria alle
superiori, pur se con forme diverse (secondo gli studi degli ultimi 15
anni, e i dati Eurispes-Telefono Azzurro, la fascia media di 'punta' è
tra i 7-9 anni, nel corso della scuola primaria e poi verso i 12-15
anni, tra medie e superiori).
E, purtroppo, non è una realtà di poco conto e neppure una
'novità' (anche se oggi, forse, se ne parla di più). Non a caso, dal
2007 il Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca
(Miur) porta avanti una serie di programmi di prevenzione e ha istituito
un numero verde, 800.66.96.96 e un indirizzo mail, bullismo@istruzione.it,
per chiedere informazioni e consigli o segnalare casi di bullismo (dal
lunedì al venerdì dalle 10.00 alle 13.00 e dalle 14.00 alle 19.00).
Quando si può parlare di bullismo
Nonostante il
bullismo sia ormai un termine noto, che evoca episodi di aggressività e
prevaricazione nell'ambiente scolastico, non è così facile e immediato
riconoscerlo.
“Le sue manifestazioni sono molteplici e cambiano anche in
base alla fascia di età di chi compie l'atto e chi lo subisce - dice
Alfonso Sodano, medico esperto in clinica dell'adolescenza e docente
presso la LUDeS di Lugano che da circa 20 anni si occupa del problema,
collaborando anche con le scuole.
“Di norma, la vittima è chi risulta più o meno attaccabile,
il più fragile che attira gli atti del bullo come se fosse una
calamita. A volte, è quello 'troppo piccolo', 'grasso', 'magro' o chi
soffre di qualche tipo di handicap”.
Di fatto, è possibile ricondurre le forme attraverso cui il
bullismo si esprime a tre 'grandi categorie': fisico (botte, spinte,
tormenti), psicologico (esclusione, maldicenza, pettegolezzi di varia
natura) e verbale (offese, provocazioni, prese in giro).
In tutti questi casi, secondo gli esperti, quando
l'episodio negativo rientra sotto l'etichetta di bullismo (e non si
tratta, invece, di un 'normale' conflitto tra bambini o adolescenti),
presenta alcune caratteristiche tipiche.
- La chiara volontà di mettere in atto un comportamento che offenda o faccia male a un altro;
- l'abuso di potere: il cosiddetto bullo è più 'forte' (non
solo in senso fisico) e agisce ai danni di un compagno debole, e
comunque più fragile;
- l'episodio aggressivo si ripete nel tempo in modo sistematico, non è mai sporadico (altrimenti non è più bullismo);
- l'atto ai danni della vittima avviene di fronte a un
pubblico che può approvare o tacere ma, comunque, assiste al
comportamento del bullo.
Sulla stessa scia, ribadisce questi punti-chiave anche
Gianluca Daffi, collaboratore del Dipartimento di Psicologia
dell’Università Cattolica di Milano e dello SPAEE (Servizio di
Psicologia dell’Apprendimento in Età Evolutiva) e autore, con Cristina
Prandolini, del saggio Mio figlio è un bullo? (Erickson).
“Per parlare di bullismo è indispensabile che l'offesa
perpetuata sia l'esito di un'intenzionale volontà di aggredire che
avviene in modo sistematico nel tempo. E tutto si compie ai danni di una
vittima con una evidente asimmetria di potere.
Quanti più compagni sono a conoscenza di tali episodi,
tanto più il bullo sarà riconosciuto nel suo ruolo agli occhi dei
coetanei”.
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