lunedì 30 settembre 2013

Adolescenti e stereotipi di genere

Stereotipa è un progetto dell'UDI - Unione Donne in Italia nato circa due anni fa per contrastare gli stereotipi uomo-donna nella pubblicità (soprattutto quelli sessisti) e poi esteso a più largo raggio, con un sondaggio tra 130 adolescenti di alcuni istituti superiori di Catania, per studiare la concezione che questi hanno dei rapporti di genere, e provare a contrastarne gli stereotipi.
Gli stereotipi riferiti alla mascolinità e alla femminilità, infatti, non si limitano a trasmettere modelli consolidati ma alimentano aspettative e pretese rispetto ai comportamenti che donne e uomini dovrebbero tenere, assumendo una funzione normativa che opera, molto spesso, nella generale inconsapevolezza di scuola, famiglia e media.
"Così nel 2012 abbiamo dato vita a Stereotipa, un progetto comune per una cittadinanza di genere non discriminatoria, che si incrocia con la campagna UDI Città libere dalla pubblicità lesiva della dignità delle donne", spiega Adriana Laudani dell'UDI di Catania.

"L'indagine non ha valore statistico e solo per 114 studenti è stato possibile analizzare le risposte" spiega Graziella Priulla, docente di sociologia dei processi culturali presso l'Università di Catania, autrice del manuale per le scuole C'è differenza (FrancoAngeli). "Non è una dunque ricerca campionaria, anche perché l'abbiamo condotta solo nelle scuole disponibili: è un piccolo spaccato, verosimile, di una realtà adolescenziale".

"Siamo abituate a lavorare in rete, ovvero attraverso relazioni costruite nel tempo con insegnanti della scuola e dell'università e con tante associazioni" spiega Laudani.
"Per questo è stato naturale cercare e trovare l'aiuto prezioso del Dipartimento di Scienze politiche e sociali dell'Università di Catania e coinvolgere alcune Scuole superiori della città, all'interno delle quali avevamo già avviato dei percorsi sul tema della violenza di genere (due licei socio-psico-pedagogici, un liceo classico, un istituto tecnico commerciale. L'indagine è stata rivolta agli studenti delle ultime classi dei rispettivi corsi di studio e si è rilevata assai interessante, se pure limitata. Interessante non solo per le domande poste, ma ancor più per le possibili risposte consentite. Limitata per il numero dei questionari restituiti e considerati validi: oltre cento (55 studentesse e 59 studenti). Credo si possa dire che anche i questionari "bruciati" hanno un significato, poiché segnalano le resistenze e le difese opposte dagli intervistati a fronte della difficoltà ad affrontare il tema".

"Solo se indotti esplicitamente a rifletterci su", spiega Priulla, "gli adolescenti sono disposti a prendere in esame il tasso di "stereotipia delle loro convinzioni". In questo caso, accettano di discuterne, di smontarle magari, anche se la reazione "è sempre stato così", oppure "tutti la pensano così" è molto diffusa. "I maschi sono più attaccati alle idee che giudicano "ovvie" (compreso il fatto che molte donne violentate "se la siano andata a cercare"), mentre le ragazze mi sono parse più abituate a problematizzarle, e comunque le ritengono meno scontate", continua Priulla.
"Non si tratta ovviamente solo di parole. Le abitudini diffuse fanno registrare un certo regresso culturale, databile da almeno un decennio a questa parte. Non è ad esempio inusuale che "lui" impedisca a "lei" di fare qualcosa: uscire da sola o frequentare amici, vestirsi in modo appariscente, viaggiare o fare gite, ecc. Mi è accaduto anche di conoscere studentesse che non vengono più all'università "perché il mio fidanzato non vuole". È  la loro passività, a stupirmi; il loro terrore della solitudine ("se no mi lascia"); la loro gratificazione della gelosia, anche ossessiva".

Alla domanda "Quali sono gli insulti adatti per una donna?", sia le ragazze che i ragazzi, nello stesso numero (33 e 32), hanno risposto "troia, mignotta e puttana". 
Lo stereotipo relativo all'uso mercificato del corpo delle donne, alla trasgressione sessuale da parte delle stesse è del tutto evidente. Ma ciò che più sorprende è il fatto che tale stereotipo accomuni giovani donne e uomini, in ragione del suo profondo radicamento.
La stessa domanda, riferita agli uomini, vede risposte che attengono essenzialmente alle loro capacità intellettuali: "Coglione, stupido", o relazionali, come "bastardo, stronzo, egoista"; solo 5 ragazzi e nessuna ragazza fanno riferimento alla vita sessuale dei maschi, utilizzando quale insulto "frocio".

"Non solo gli insulti rivolti a una donna sono ancora legati unicamente al suo comportamento sessuale, ma questo accade in modo indifferenziato nel linguaggio dei giovani uomini e in quello delle giovani donne" continua Priulla. "Anche queste ultime non si sentono a disagio, nel definire usualmente "puttana" o "troia" un'altra donna. Ed emerge anche che, ancora nel terzo millennio, l'educazione ricevuta in casa, dalle madri, percorre il doppio binario: i maschi ad esempio sono di norma esentati dai lavori domestici, e non passa loro per il cervello che sia giusto che se uno sporca un piatto poi lo lavi". Un'altra domanda, attraverso le risposte, conferma infatti il permanere di uno stereotipo assai antico che si riferisce alla rigida divisione dei ruoli tra i due sessi: "Quante volte alla settimana lavi i piatti?". Il 50% delle ragazze intervistate ha risposto da 2 a 4, una buona parte tutti i giorni, solo alcune hanno detto di non lavarli mai. I due terzi dei ragazzi, indignati, hanno risposto "Mai"!

"Direi che mi ha dolorosamente sorpresa, o forse no, il senso di solitudine e di insicurezza che ho letto dietro le risposte date dai giovani uomini alla domanda (aperta) ho paura di", confessa Laudani. "La maggioranza dei ragazzi ha detto di temere il futuro e, subito dopo, il giudizio degli altri. Di fronte a questi timori cede quello di "perdere le persone che amo" e anche quello di morire. Non sono una specialista, ma da madre di figli maschi penso che insicurezza e solitudine, insieme al grande bisogno di riconoscimenti esterni, costituiscano per gli uomini il terreno di cultura per comportamenti possessivi e violenti contro le donne, che vengono facilmente vissute quale luogo di una conferma di potenza che non può essere loro negata, pena anche la morte. Non è forse un caso che alla domanda, anche questa aperta, "come ti senti quando esci da sola?", 10 donne abbiano risposto "non mi capita mai", 9 "ho paura", 7 "sto attenta". Questa sembra essere la zona nera e pericolosa per le donne: solo 7 hanno risposto "sono spensierata".

Le famiglie quindi, non sempre si fanno carico dell'educazione dei figli: anzi. L'ultima salvezza resta la scuola. "Ci sono docenti molto attive, esperienze molto positive, ma non è usuale parlare a scuola di queste cose, prenderne spunto per definire i concetti di differenza e di disuguaglianza, di parità e di pari opportunità. Di rado si nominano le differenze di genere, si esaminano le relazioni e i ruoli. È più facile far finta che gli esseri presenti in aula siano asessuati.
D'altronde, anche per quanto riguarda le conoscenze disciplinari, si trasmette ancora un sapere che si pretende neutro, quel falso neutro che in realtà è un maschile (nella grammatica: non è facile diffondere l'uso di "ministra", viene ritenuto sbagliato dire "la giudice"; nella storia: si dice che c'era il "suffragio universale" quando votavano solo i maschi ... ecc.)".

Le esperte dell'Udi hanno dunque proposto al Comune di Catania di farsi promotore di un piano di educazione di genere nelle scuole e il Sindaco ha accolto la richiesta: "Abbiamo ottenuto che l'ateneo inserisca, dal prossimo anno accademico, gli Studi di genere nei curricula. Sembrano passi molto piccoli, ma ci è voluto un sacco di tempo per farli. E di fatica", afferma Priulla. "È insopportabile vivere in un Paese il cui calendario è scandito quasi ogni giorno dal nome di una donna uccisa da un uomo con il quale ha condiviso un pezzo di vita. Da questo sentimento, da questo dolore è nata, tra noi donne dell'UDI di Catania, la determinazione di declinare in tanti progetti la volontà della nostra associazione e di assumere la battaglia contro il femminicidio come la  "priorità" e come responsabilità personale e politica di tutte", conclude Laudani. "Sappiamo bene che di fronte ai tanti corpi di donne martoriate le parole non bastano, per questo ricerchiamo azioni e gesti concreti ed efficaci, che divengono la nostra pratica politica quotidiana. Dentro questa riflessione è maturata la consapevolezza del ruolo che gli stereotipi di genere giocano sul terreno culturale e sociale".

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