lunedì 30 settembre 2013

Adolescenti e stereotipi di genere

Stereotipa è un progetto dell'UDI - Unione Donne in Italia nato circa due anni fa per contrastare gli stereotipi uomo-donna nella pubblicità (soprattutto quelli sessisti) e poi esteso a più largo raggio, con un sondaggio tra 130 adolescenti di alcuni istituti superiori di Catania, per studiare la concezione che questi hanno dei rapporti di genere, e provare a contrastarne gli stereotipi.
Gli stereotipi riferiti alla mascolinità e alla femminilità, infatti, non si limitano a trasmettere modelli consolidati ma alimentano aspettative e pretese rispetto ai comportamenti che donne e uomini dovrebbero tenere, assumendo una funzione normativa che opera, molto spesso, nella generale inconsapevolezza di scuola, famiglia e media.
"Così nel 2012 abbiamo dato vita a Stereotipa, un progetto comune per una cittadinanza di genere non discriminatoria, che si incrocia con la campagna UDI Città libere dalla pubblicità lesiva della dignità delle donne", spiega Adriana Laudani dell'UDI di Catania.

"L'indagine non ha valore statistico e solo per 114 studenti è stato possibile analizzare le risposte" spiega Graziella Priulla, docente di sociologia dei processi culturali presso l'Università di Catania, autrice del manuale per le scuole C'è differenza (FrancoAngeli). "Non è una dunque ricerca campionaria, anche perché l'abbiamo condotta solo nelle scuole disponibili: è un piccolo spaccato, verosimile, di una realtà adolescenziale".

"Siamo abituate a lavorare in rete, ovvero attraverso relazioni costruite nel tempo con insegnanti della scuola e dell'università e con tante associazioni" spiega Laudani.
"Per questo è stato naturale cercare e trovare l'aiuto prezioso del Dipartimento di Scienze politiche e sociali dell'Università di Catania e coinvolgere alcune Scuole superiori della città, all'interno delle quali avevamo già avviato dei percorsi sul tema della violenza di genere (due licei socio-psico-pedagogici, un liceo classico, un istituto tecnico commerciale. L'indagine è stata rivolta agli studenti delle ultime classi dei rispettivi corsi di studio e si è rilevata assai interessante, se pure limitata. Interessante non solo per le domande poste, ma ancor più per le possibili risposte consentite. Limitata per il numero dei questionari restituiti e considerati validi: oltre cento (55 studentesse e 59 studenti). Credo si possa dire che anche i questionari "bruciati" hanno un significato, poiché segnalano le resistenze e le difese opposte dagli intervistati a fronte della difficoltà ad affrontare il tema".

"Solo se indotti esplicitamente a rifletterci su", spiega Priulla, "gli adolescenti sono disposti a prendere in esame il tasso di "stereotipia delle loro convinzioni". In questo caso, accettano di discuterne, di smontarle magari, anche se la reazione "è sempre stato così", oppure "tutti la pensano così" è molto diffusa. "I maschi sono più attaccati alle idee che giudicano "ovvie" (compreso il fatto che molte donne violentate "se la siano andata a cercare"), mentre le ragazze mi sono parse più abituate a problematizzarle, e comunque le ritengono meno scontate", continua Priulla.
"Non si tratta ovviamente solo di parole. Le abitudini diffuse fanno registrare un certo regresso culturale, databile da almeno un decennio a questa parte. Non è ad esempio inusuale che "lui" impedisca a "lei" di fare qualcosa: uscire da sola o frequentare amici, vestirsi in modo appariscente, viaggiare o fare gite, ecc. Mi è accaduto anche di conoscere studentesse che non vengono più all'università "perché il mio fidanzato non vuole". È  la loro passività, a stupirmi; il loro terrore della solitudine ("se no mi lascia"); la loro gratificazione della gelosia, anche ossessiva".

Alla domanda "Quali sono gli insulti adatti per una donna?", sia le ragazze che i ragazzi, nello stesso numero (33 e 32), hanno risposto "troia, mignotta e puttana". 
Lo stereotipo relativo all'uso mercificato del corpo delle donne, alla trasgressione sessuale da parte delle stesse è del tutto evidente. Ma ciò che più sorprende è il fatto che tale stereotipo accomuni giovani donne e uomini, in ragione del suo profondo radicamento.
La stessa domanda, riferita agli uomini, vede risposte che attengono essenzialmente alle loro capacità intellettuali: "Coglione, stupido", o relazionali, come "bastardo, stronzo, egoista"; solo 5 ragazzi e nessuna ragazza fanno riferimento alla vita sessuale dei maschi, utilizzando quale insulto "frocio".

"Non solo gli insulti rivolti a una donna sono ancora legati unicamente al suo comportamento sessuale, ma questo accade in modo indifferenziato nel linguaggio dei giovani uomini e in quello delle giovani donne" continua Priulla. "Anche queste ultime non si sentono a disagio, nel definire usualmente "puttana" o "troia" un'altra donna. Ed emerge anche che, ancora nel terzo millennio, l'educazione ricevuta in casa, dalle madri, percorre il doppio binario: i maschi ad esempio sono di norma esentati dai lavori domestici, e non passa loro per il cervello che sia giusto che se uno sporca un piatto poi lo lavi". Un'altra domanda, attraverso le risposte, conferma infatti il permanere di uno stereotipo assai antico che si riferisce alla rigida divisione dei ruoli tra i due sessi: "Quante volte alla settimana lavi i piatti?". Il 50% delle ragazze intervistate ha risposto da 2 a 4, una buona parte tutti i giorni, solo alcune hanno detto di non lavarli mai. I due terzi dei ragazzi, indignati, hanno risposto "Mai"!

"Direi che mi ha dolorosamente sorpresa, o forse no, il senso di solitudine e di insicurezza che ho letto dietro le risposte date dai giovani uomini alla domanda (aperta) ho paura di", confessa Laudani. "La maggioranza dei ragazzi ha detto di temere il futuro e, subito dopo, il giudizio degli altri. Di fronte a questi timori cede quello di "perdere le persone che amo" e anche quello di morire. Non sono una specialista, ma da madre di figli maschi penso che insicurezza e solitudine, insieme al grande bisogno di riconoscimenti esterni, costituiscano per gli uomini il terreno di cultura per comportamenti possessivi e violenti contro le donne, che vengono facilmente vissute quale luogo di una conferma di potenza che non può essere loro negata, pena anche la morte. Non è forse un caso che alla domanda, anche questa aperta, "come ti senti quando esci da sola?", 10 donne abbiano risposto "non mi capita mai", 9 "ho paura", 7 "sto attenta". Questa sembra essere la zona nera e pericolosa per le donne: solo 7 hanno risposto "sono spensierata".

Le famiglie quindi, non sempre si fanno carico dell'educazione dei figli: anzi. L'ultima salvezza resta la scuola. "Ci sono docenti molto attive, esperienze molto positive, ma non è usuale parlare a scuola di queste cose, prenderne spunto per definire i concetti di differenza e di disuguaglianza, di parità e di pari opportunità. Di rado si nominano le differenze di genere, si esaminano le relazioni e i ruoli. È più facile far finta che gli esseri presenti in aula siano asessuati.
D'altronde, anche per quanto riguarda le conoscenze disciplinari, si trasmette ancora un sapere che si pretende neutro, quel falso neutro che in realtà è un maschile (nella grammatica: non è facile diffondere l'uso di "ministra", viene ritenuto sbagliato dire "la giudice"; nella storia: si dice che c'era il "suffragio universale" quando votavano solo i maschi ... ecc.)".

Le esperte dell'Udi hanno dunque proposto al Comune di Catania di farsi promotore di un piano di educazione di genere nelle scuole e il Sindaco ha accolto la richiesta: "Abbiamo ottenuto che l'ateneo inserisca, dal prossimo anno accademico, gli Studi di genere nei curricula. Sembrano passi molto piccoli, ma ci è voluto un sacco di tempo per farli. E di fatica", afferma Priulla. "È insopportabile vivere in un Paese il cui calendario è scandito quasi ogni giorno dal nome di una donna uccisa da un uomo con il quale ha condiviso un pezzo di vita. Da questo sentimento, da questo dolore è nata, tra noi donne dell'UDI di Catania, la determinazione di declinare in tanti progetti la volontà della nostra associazione e di assumere la battaglia contro il femminicidio come la  "priorità" e come responsabilità personale e politica di tutte", conclude Laudani. "Sappiamo bene che di fronte ai tanti corpi di donne martoriate le parole non bastano, per questo ricerchiamo azioni e gesti concreti ed efficaci, che divengono la nostra pratica politica quotidiana. Dentro questa riflessione è maturata la consapevolezza del ruolo che gli stereotipi di genere giocano sul terreno culturale e sociale".

domenica 29 settembre 2013

Kumari, la bambina-dea

Kumari Devi: la dea vivente dalle sembianze di una bambina abita in Nepal

Il Nepal è il paese dove si trovano le montagne più alte del mondo, ma e’ anche il regno della dea Kumari, una dea vivente dalle sembianze di una bambina, nata da una famiglia buddista ma venerata anche dagli induisti.

In questo paese himalaiano si pratica ancora l’antica tradizione di venerare la Kumari (o Kumari Devi): una bambina, non ancora adolescente, che si crede sia la reincarnazione della dea Taleju (o Durga). Il termine ‘Kumari’ deriva dal Sanskrito Kaumarya e significa ‘vergine’, ovvero una giovane non sposata. La Kumari è solitamente venerate sia da alcuni gruppi di induisti e buddisti.

Kumari non si nasce, ma si diventa! Infatti, vi è un rigoroso processo di selezione tra le bambine d’età compresa tra i 4 e i 7 anni appartenenti alla comunità Saakya, una casta di religione buddista appartenente alla più vasta comunità dei Newar, oltre ad essere il clan al quale, si dice, appartenesse Buddha.
I requisiti minimi che l’aspirante Kumari deve avere sono soprattutto quelli di godere di una salute di ferro, non aver mai contratto alcuna malattia e avere ancora tutti i denti. La scelta viene compiuta seguendo un particolare oroscopo e in base a ben 32 attributi di perfezione (battis lakshanas), tra cui il colore degli occhi, la forma dei denti o addirittura il suono della voce. Le bambine che corrispondono a questi attributi vengono condotte in una stanza buia dove si svolgono dei rituali tantrici terrificanti. La bambina che rimarrà calma e imperturbata, dando segni di serenità, sarà scelta come la futura Kumari e preparata per i rituali.
Si crede infatti che, dopo alcune cerimonie di purificazione, lo spirito della dea Taleju entri nel corpo della bambina prescelta, per cui le verrà dato il titolo di Kumari Devi e da quel momento sarà venerata in tutte le occasioni religiose. La bambina abiterà nella residenza delle Kumari, chiamata ‘Kumari Ghar’, che si trova nella piazza del palazzo di Hanumandhoka, una zona centrale di Kathmandu. La Kumari officerà quotidianamente dei rituali e non lascerà la sua nuova residenza se non per eventi particolari e situazioni ben precise.

Un appuntamento importante nella vita delle Kumari e rappresentato della festività dell’Indra Jatra (la festa del dio della pioggia) che si celebra solitamente nel mese di settembre. In questa occasione, la piccola dea Kumari, propriamente adornata per l’occasione, viene condotta in una processione religiosa per alcune strade della città di Katmandu. Questa ricorrenza annuale è solitamente attesa da tantissima gente, che si raduna nella capitale per vedere la dea vivente e ottenere la sua benedizione. Nel passato, la tradizione voleva che la dea Kumari benedicesse sua maestà il Re del Nepal. Infatti, la Kumari, proprio per i suoi poteri soprannaturali, era l’unica persona verso la quale il re s’inchinasse.   

L’esperienza terrena della dea Taleju nelle sembianze (e nel corpo in prestito) della bambina terminerà con l’arrivo della pubertà, dopodiché si crede che la dea abbandoni il corpo della bambina. A quel punto si scatenerà una ricerca assidua per individuare la prossima Kumari. Per via dell’assiduità e difficolta della ricerca, alcuni esperti hanno comparato la ricerca della futura Kumari al processo d’individuazione e selezione della reincarnazione del Dalai Lama in Tibet.

In passato, le piccole Kumari non ricevevano alcuna educazione poiché si pensava che fossero omniscienti. Tuttavia, questa pratica è cambiata con il tempo e oggi anche le Kumari e ricevono un’educazione, soprattutto in vista del loro rientro nella società.

Molti sono i dibattiti e i dubbi intorno a questa pratica, soprattutto circa la potenziale violazione del diritto di queste bambine ad una infanzia normale, passata giocare con gli altri bambini senza aver paura di farsi male o ammalarsi per paura che lo spirito della dea possa lasciare il corpo.

giovedì 12 settembre 2013

Malala prosegue con il suo obiettivo


Innanzitutto, congratulazioni a Malala Yousafzai, che finalmente ha ricevuto il premio  2013 International Children's Peace Prize in The Hague.
Lei, con fermezza nel suo proposito, ha promesso di continuare la campagna per l'educazione delle ragazze "così che tutte le ragazze nel mondo possano avere il diritto ad andare a scuola". 
A consegnarle il premio è stata la già premiata Nobel  توكل كرمان Tawakkol Karman che le ha detto: "Malala tu sei la mia eroina!".

Leggi di più su: http://www.abc.net.au/news/2013-09-07/pakistani-girl-shot-by-taliban-speaks-at-the-hague/4942494

E infatti Malala è davvero un'eroina a livello mondiale! Sono in molti, fra adulti e bambini, a sosterla e aiutarla a mantenere la sua promessa. Così si è potuta rendere disponibile e solidale attraverso il web con tutti coloro che hanno bisogno di sentire la forza delle sue ragioni e chiedono il suo supporto. E con tutti coloro che hanno portato avanti il suo esempio o che cercano di farlo, come nel caso di queste bambine siriane che da quando è in atto il duro conflitto nel proprio paese, non sono potute più andare a scuola.




 "Io vi supporto pienamente. Siete molto coraggiose. Credo che avrete la vostra educazione, che andrete a scuola, e che nessuno vi può fermare", ha detto loro in questa chiamata video. 

Questo è quello che #Malala aveva da dire, via Skype, a Zahra e Om Kolthoum, #childrenofsyria che stanno recuperando terreno sulla formazione dopo essere state fuori dalla scuola per mesi. Hanno vissuto in Libano per un anno dopo essere state costrette alla fuga dalla loro casa di Aleppo. Entrambe le ragazze  ora frequentano le classi, sostenute dall'UNICEF a livello locale-RUN.

Read about Malala’s chat here: http://uni.cf/17TMeRT

mercoledì 11 settembre 2013

Una storia dal Canada 2

Cosa ne è stato di quella bambina che zittì il mondo?
Oggi Severn Suzuki è una bella Donna di 33 anni e ha continuato a perseguire i suoi obiettivi nonostante gli impegni familiari.
Cresciuta in una famiglia di ambientalisti – suo padre è David Suzuki, scienziato, divulgatore e autore di 52 libri, sua madre è scrittrice - Severn ha conseguito due lauree, in Biologia a Yale e in Etno botanica alla University of Victoria in Canada. Da un anno è diventata madre. Grazie al web, Cristina Gabetti è riuscita a raggiungerla e a raccogliere questa intervista (http://www.cristinagabetti.com/articoli/versione-integrale-dellintervista-a-severn-cullis-suzuki-pubblicata-oggi-su-sette-corriere-della-sera/)  una parte è stata pubblicata su Sette.
Il suo discorso del 1992 sembra scritto ieri. Come reagisce a questo? C’è solo una frase che data il mio discorso: la nostra famiglia umana di 5 miliardi. Oggi mi stupisco ancora del fatto che non siamo riusciti a invertire la rotta. Al tempo avevo 12 anni, e pensavo che, catturando l’attenzione dei leader del mondo, essi avrebbero usato il loro potere per cambiare il corso dell’umanità. Ho creduto che avrebbero pensato ai loro figli prima di prendere decisioni importanti. Ero un’idealista.

Come fa a mantenere uno spirito positivo? Se apriamo la mente e il cuore verso I problemi che affliggono gli ecosistemi e i popoli dall’altra parte del globo, è facile deprimersi. Più vado avanti più mi accorgo che non me lo posso permettere. Mettere in pratica la visione che abbiamo del mondo, sostenendo e promuovendo lo sviluppo della società alla quale aspiriamo, è importante quanto battersi contro l’ingiustizia e il danno che stiamo arrecando alle future generazioni. Se crediamo in un mondo bello, dobbiamo cercare di renderlo concreto in ogni modo possibile. Trovare la gioia è la sfida più grande, ed è una ricerca che m’ispira e mi rafforza. Significa prendere il tempo per coltivare e preparare cibo buono, significa costruire uno spirito comunitario, ricordandoci che ciò che è bene per la qualità della nostra vita fa bene anche all’ambiente. Mi ispira la forza degli altri. Sulla mia scrivania ho una frase del Dalai Lama, “Non ti arrendere mai”. Mi ricorda quali sfide e ingiustizie abbia affrontato il popolo tibetano, mi aiuta ad apprezzare tutto ciò che ho e ciò che sono libera di fare. Siamo potenti nella misura in cui ci crediamo.

Dove vede i cambiamenti più tangibili?
A livello locale. E’ lì che possiamo agire e vedere i risultati. Il globale è la somma del locale. Abbiamo bisogno che i governi locali e centrali sostengano i cambiamenti in atto nelle comunità. Possono farlo fissando standard di risparmio energetico, creando reti di trasporto più efficienti, incentivando i comportamenti che tutelano l’ambiente. Non è giusto che sia così difficile fare la cosa giusta; al momento le nostre società favoriscono scelte facili a basso costo che sono terribilmente dannose per l’umanità e per il pianeta.

Dei tanti progetti nei quali è impegnata, quali le permettono di raggiungere in modo efficace i suoi obiettivi?
Buona domanda. Tutti I progetti e le campagne alle quali ho lavorato mi hanno insegnato molto. Ho conosciuto persone incredibili, e continuo a imparare. E’ stato un privilegio lavorare con il Sloth Club Japan, un gruppo di visionari che hanno come missione di rallentare il Giappone. Credono profondamente nei valori del movimento Slow Food, nato in Italia, ma trasferiscono I principi “slow” a ogni aspetto del quotidiano. Credono che stiamo correndo troppo, a danno nostro e del Pianeta. Quando sono stata in Giappone, mi hanno organizzato conferenze straordinarie – sanno mobilitare la gente e diffondere messaggi con grande efficienza. Al momento sto lavorando con un gruppo di giovani alla campagna “We Canada” per portare I nostri politici a mostrare un’autentica leadership alla Earth Summit di Rio nel 2012. E’ un gruppo di persone ispirate e piene di energia, e mi colpisce per la capacità di fare rete, di esprimere al meglio il potenziale  dei social media. Abbiamo strumenti potenti per comunicare e fare rete, dobbiamo solo rendercene conto.

Chiaramente il cambiamento arriva dal basso – lo vediamo in Egitto, Tunisia, in Siria. Il mondo cerca disperatamente di cambiare. Vede all’orizzonte leader capaci di condurre l’umanità sulla giusta rotta?
Il 50% della popolazione mondiale è giovane. Pensiamoci. C’è grande potenziale per una rivoluzione. Purtroppo i giovani non sono attratti dalla politica – hanno eletto Barack Obama, ma da allora non sono più andati a votare, e questo è un trend mondiale. I giovani devono prendere coscienza del potere che hanno in cabina elettorale. Dalla conferenza di Rio del 1992, 19 anni fa, mi sono impegnata nelle piazze, in TV, come scrittrice, e mi sono laureata, ma l’azione più potente resta ancora il mio discorso da dodicenne. Perché? Credo che abbia a che fare con ciò che al mondo, oggi come allora, necessita maggiormente: la voce dei giovani, la loro verità. I giovani, che hanno tutto da perdere, hanno un messaggio potente da consegnare a chi vive come se il futuro non li riguardasse. Occorre che prendano la parola e sfidino i leader del mondo ad affrontare l’ingiustizia intergenerazionale. Il cambiamento climatico è una condanna per i giovani di oggi, creata dalle generazioni passate e presenti. Nel corso della storia, gli umani hanno agito pensando al futuro, alla sopravvivenza della specie, e le tecniche di sopravvivenza più basilari oggi sono state gettate al vento, a danno dei nostri figli.

Dei tanti veicoli che diffondono il suo lavoro: l’editoria, il web, la radio, la TV e le conferenze, qual è il più efficace per innescare il cambiamento?

E’ difficile misurare quanto riusciamo ad agire sulla coscienza collettiva. Cambiare il modo in cui le persone pensano e agiscono è un lavoro informe, amorfo. I media sono strumenti per parlare alle persone, e ce ne sono un’infinità, oggi, ma ciò che trasforma veramente è l’esperienza. Fare. Se la gente è testimone di un problema, se visita un luogo naturale minacciato, è più prona ad agire. Dobbiamo uscire, vedere, conoscere. Se conosciamo Ia natura, ci batteremo per lei.

Una vita sostenibile è fatta da un insieme di scelte, gesti, abitudini umili e semplici per chi le mette in pratica, ma per tanti, troppi, sono una soglia da superare. Chi sono I suoi modelli e come affronta la sfida di promuovere ciò che sembra tanto ovvio?

Su libri e riviste leggiamo spesso: “soluzioni facili per essere sostenibili”. Ma la transizione verso stili di vita sostenibili non è facile per molti, anche quando ha senso per la salute, per le comunità e per la qualità della vita. Portare la nostra società a promuovere e mettere in pratica stili di vita sostenibili non è semplice e nemmeno facile, ed è la grande sfida per i divulgatori – facilitare la transizione. Occorre il sostegno dei governi, per ridurre l’inquinamento, gestire l’uso dell’acqua e dell’energia, per incentivare i giusti comportamenti. Un punto di riferimento per me è Thomas Friedman. Il suo ultimo libro "Il mondo è piatto" è una fonte esauriente di informazioni provocatorie e d’ispirazione sulla sfida che affrontiamo.

Sulla sua fan page di facebook c’è un messaggio commovente di una ragazzina italiana di dodici anni che dice: “fino a quando ho visto il tuo discorso del 1992, pensavo che i problemi ambientali di cui sento parlare fossero recenti. Lei è diventata mamma da poco tempo – non è preoccupata per il mondo che suo figlio erediterà?”
Mio figlio ha un anno. Devo credere che erediterà un mondo che merita di essere vissuto. Ho imparato da mia madre che possiamo arrabbiarci, essere tristi, ma non dobbiamo mai perdere la fiducia. Il nostro pianeta è bellissimo, ed è onorando tanta bellezza che saremo spronati a batterci affinché non venga distrutta. Dobbiamo attingere alla nostra forza emotiva, in qualità di figli, genitori, zii, nonni, e connetterci con le sfide globali che stiamo affrontando. Dobbiamo batterci per la giustizia.

Lei, in qualità di biologa e ambientalista, interpreta i recenti disastri naturali, da Katrina agli tsunami, come un “campanello d’allarme” che la natura cerca di dare all’uomo?

Quando l’urragano Katrina colpì New Orleans pensai: “il mondo occidentale dovrà svegliarsi e affrontare i cambiamenti climatici.” Verrebbe da pensare che anche la possibilità più remota che l’uomo abbia contribuito a un disastro di tale portata, avrebbe fatto riflettere gli americani. Di fatto, il “campanello d’allarme” non ha inciso in maniera significativa sulla legislazione riguardo ai cambiamenti climatici. Mi chiedo cosa occorre per svegliare l’umanità. Molti parlano di “giustizia climatica” o “razzismo ambientale”, alludendo al fatto che i più poveri sopportano maggiormente gli impatti sociali del degrado ambientale. La società è palesemente ingiusta? Il pensiero mi fa venire i brividi e minaccia la mia fiducia che le persone abbiano un innato senso di giustizia, a favore dei più deboli. La devastazione causata dagli tsunami serve come promemoria per tutti noi, ci ricorda Il crudo potere del mondo naturale, che merita rispetto.


In qualità di biologa e etno-biologa, quali sono I fatti che la preoccupano maggiormente e che richiedono azioni immediate?

Andando per mare e per terra con gli anziani nativi, mi ha sconvolto scoprire che le risorse alimentari alle quali attingevano da bambini oggi sono contaminati. In diverse aree che abbiamo visitato, molti cibi non sono più commestibili a causa dell’inquinamento. Non mi aspettavo un dato simile, e mi ha rattristato molto. C’è un bagaglio prezioso nel sapere degli anziani. In passato non sono stati raccolti molti dati di riferimento per quanto riguarda la salute degli ecosistemi prima dello sviluppo esponenziale degli ultimi decenni, ed è così che la memoria degli anziani diventa basilare.

Quali sono i sentimenti suoi e della sua famiglia riguardo all’energia nucleare?
Ho sempre pensato all’energia nucleare come a un patto con il diavolo.

Come calcola la sua impronta ecologica?
Ci sono diversi siti per farlo online; ridurre il proprio impatto è un esercizio importante per capire come vivere in modo più ecologico.

Dove vive?
Sull’arcipelago di Haida Gwaii . “Isole delle persone”, a nord ovest dalla costa del Canada.

In questi giorni lei è in Europa. Perché?
Sto visitando mia sorella che studia in Inghilterra, e approfittiamo dell’occasione per presentare mio figlio ai suoi parenti britannici.

A cosa sta lavorando ora?
Alla salvaguardia dell’idioma Haida, che oggi è parlato solo da un gruzzolo di anziani. E’ la lingua di mio marito e ora di mio figlio, e vogliamo mantenerla viva. Questo sarà possibile grazie agli anziani dai quali la stiamo imparando. Sto anche lavorando alla campagna We CANada in vista del summit di Rio nel 2012. Il governo canadese sta lasciando una pessima eredità ambientale – sono imbarazzata. Sono portavoce del gruppo canadese “Girls in action” per promuovere autostima e opportunità positive per giovani donne, e sono presidente di consiglio della David Suzuki Foundation (la fondazione del padre, ndr).
Il mestiere più importante che svolgo ora è di crescere un bimbo sano e forte.

Video di Severn Suzuki – Rio 1992 http://www.youtube.com/watch?v=NStyRt19flA
Sloth Club Japan http://www.sloth.gr.jp/E-index.htm
We CANada
www.earthsummit.ca