martedì 30 settembre 2014

Accettare gli altri

Brano estrapolato dal libro "Cambia il corpo, cambia la vita"

I sentimenti che abbiamo verso noi stessi influiscono sul nostro modo di porci in rapporto con gli altri. E' un problema che emerse in uno dei nostri incontri a Los Angeles.

Janice, primo anno delle superiori, fece questo intervento:
Ripenso a tutte le volte che ho rifiutato gli altri. Fin dalle elementari, incontravo qualcuno in corridoio e pensavo: "Ecco la tale, è una cretina". Oppure: "Stai alla larga da Richard, è uno stronzo". Era una crudeltà ma è successo davvero, facevo proprio così. E così facevano altri.
Certe volte pensavo: "È una meschinità, non mi piace fare così". Però è un fatto che se sei tu a rifiutare gli altri, allora non sono gli altri che rifiutano te. Dopo non si è contenti di essere così meschini ma nello stesso tempo si è talmente preoccupati di essere accettati, che non ci si ferma a pensare a quello che provano gli altri.

Dunque, ci sono persone che, sentendosi insicure, si ritirano in se stesse e soffrono la solitudine, e altre che, come Janice, fanno esattamente il contrario.
Janice ci disse di aver fatto parte di un piccolo gruppo molto esclusivo che ignorava gli altri o li criticava. Era il loro modo di evitare di sentirsi esclusi, e se a sentirsi esclusi erano gli altri, tanto più si sentivano rassicurati.

Moltissime associazioni, studentesche e non, si basano sull'idea che l'appartenervi sia il segno che si è persone in gamba. Che è come dire che chi non vi appartiene non deve essere tanto in gamba. E' lo stesso principio di tante organizzazioni patriottiche o religiose: noi siamo i meglio, noi abbiamo le verità. E chi la pensa diversamente, necessariamente sbaglia. Le persone che hanno bisogno di sottolineare continuamente di essere meglio, o che le loro idee sono le uniche giuste, probabilmente hanno l'intimo dubbio che, se non sono "meglio" allora non sono nulla.
A volte persino i gruppi che predicano l'amore e la fratellanza hanno questa funzione, e possono essere più chiusi ed esclusivi di altri.

Occorre prendere una certa distanza per riuscire a distinguere quello che siamo come persone e quello che siamo in quanto membri di un gruppo. Ed è appunto prendendo le distanze che si ha la possibilità di scoprire quello che fa di ciascuno di noi un essere unico e irripetibile.

Così ci disse Bill, diciassette anni, del New England:
Al ginnasio, in special modo, per essere tra quelli che contano bisognava fare i duri, prendere il tipo di droga giusto, andare alle feste giuste, eccetera. A me in realtà non corrispondeva, e stavo quasi sempre da cani. Al liceo, invece, è diverso. Ho trovato degli amici che mi accettano per quello che sono. Non ho più l'impressione di dovermi vestire in un certo modo e comportarmi in un certo modo per avere degli amici. Adesso sono contento di non essere riuscito ad adeguarmi, perché ho capito che quello stile non mi corrisponde. Quando si è così preoccupati di inserirsi, si perdono un sacco di occasioni per scoprire chi si è veramente.
  

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