lunedì 19 ottobre 2015

Il discorso di Malala

in occasione della consegna del Premio Nobel per la Pace
 
 
Vostre Maestà, illustri membri del comitato per il Nobel, cari fratelli e sorelle, oggi è un giorno di grande gioia per me, sono onorata che il comitato del Nobel mi abbia scelto per questo prezioso premio. Grazie a tutti per il vostro sostegno duraturo e per l’affetto. Sono grata per le lettere che ricevo da tutto il mondo. Leggere le vostre parole cordiali di incoraggiamento mi rafforza e mi ispira.
Vorrei ringraziare i miei genitori per i loro amore incondizionato.
Grazie a mio padre per non aver tarpato le mie ali e avermi lasciato volare. Grazie a mia madre per avermi insegnato a essere paziente e a dire sempre la verità – quello che crediamo essere il vero messaggio dell’Islam.
Sono molto orgogliosa di essere la prima pashtun, la prima pachistana e la prima giovane a ricevere questo premio. Sono abbastanza sicura di essere anche la prima vincitrice del Nobel che ancora litiga con suo fratello minore. Vorrei che ci fosse pace ovunque, ma io e i miei fratelli abbiamo ancora del lavoro da fare su quel fronte.

Sono onorata anche di ricevere questo premio con Kailash Satyarti, che è stato un campione dei diritti dei bambini per parecchi anni. A dirla tutta, il doppio degli anni che ho io adesso. Sono grata del fatto che possiamo essere qui insieme e mostrare al mondo che un’indiana e un pachistano possono stare insieme in pace e lavorare insieme per i diritti dei bambini.

Cari fratelli e sorelle, i miei genitori mi hanno dato il nome della “Giovanna d’Arco” pashtun, Malalai di Maiwand. La parola Malala vuol dire “colpita da un lutto”, “triste”, ma per aggiungere allegria al nome i miei genitori mi chiamano sempre “Malala, la ragazza più felice del mondo” e sono molto felice che insieme stiamo sostenendo una causa importante.

Questo premio non è solo per me. È per i bambini dimenticati che vogliono un’istruzione. È per i bambini spaventati che vogliono la pace. È per i bambini senza voce che vogliono il cambiamento. Sono qui per i loro diritti, per dare loro voce… Non è il momento di averne compassione. È il momento di agire, per fare in modo che sia l’ultima volta che a dei bambini è sottratta l’istruzione.

Ho notato che le persone mi descrivono in molti modi. Alcuni mi chiamano la ragazza cui i talebani hanno sparato. Alcuni la ragazza che ha combattuto per i suoi diritti. Altri, ora, mi chiamano la premio Nobel. Per quanto ne so io, sono sono una persona impegnata e testarda che vuole che ciascun bambino abbia un’istruzione di qualità, che vuol pari diritti per le donne, che vuole la pace in ogni angolo del mondo.

L’istruzione è una delle benedizioni della vita – e una delle sue necessità. Me lo dice l’esperienza dei miei 17 anni di vita. A casa mia nella valle di Swat, nel nord del Pakistan, ho sempre amato la scuola e imparare cose nuove. Ricordo quando io e i miei amici ci decoravamo le mani con gli henna (decorazioni floreali, ndr) per le occasioni importanti. Invece di disegnare dei fiori e motivi geometrici, usavamo le formule matematiche e le equazioni.

Avevamo sede di conoscenza perché il nostro futuro era lì, in classe. Ci sedevamo e studiavamo e imparavamo insieme. Adoravamo indossare i nostri grembiuli puliti e stare lì seduti con grandi sogni negli occhi. Volevamo rendere orgogliosi i nostri genitori e dimostrare che potevamo eccellere negli studi e ottenere cose che secondo alcuni solo i ragazzi possono fare.

Le cose sono cambiate. Quando avevo dieci anni Swat, un posto di bellezza e turismo, è diventato improvvisamente
un luogo di terrore. Più di 400 scuole sono state distrutte. Alle ragazze è stato impedito di andare a scuola. Le donne sono state picchiate. Innocenti sono stati uccisi. Tutti abbiamo sofferto. I nostri bei sogni sono diventati incubi. L’istruzione da diritto e diventato crimine.
Ma quando il mondo è cambiato, anche le mie priorità sono cambiate. Avevo due opzioni. Stare zitta e aspettare di venire uccisa. O parlare e venire uccisa. Ho deciso di parlare. I terroristi hanno provato a fermarci e il 9 ottobre del 2012 hanno attaccato me e i miei amici. Ma i loro proiettili non potevano vincere. Siamo sopravvissuti. E da quel giorno le nostre voci si sono fatte più forti.

Racconto la mia storia non perché sia unica, ma perché non lo è. È la storia di molte ragazze. Oggi racconto anche le loro storie. Ho portato con me a Oslo alcune delle mie sorelle, che condividono la mia storia: amiche dal Pakistan, la Nigeria e la Siria. Le mie coraggiose sorelle Shazia e Kainat Riaz che quel giorno a Swat sono state colpite dai proiettili con me. Anche loro hanno attraversato un tragico trauma. E la mia sorella Kainat Somro dal Pakistan, che ha sofferto violenze estreme e abusi, fino all’uccisione di suo fratello, ma non ha ceduto.

E ci sono ragazze come me, che ho incontrato durante la campagna per il Fondo Malala, che oggi sono come sorelle per me: la mia coraggiosa sorella sedicenne Mezon, dalla Siria, che oggi vive in Giordania in un campo profughi e va di tenda in tenda per aiutare i bambini a studiare. E la mia sorella Amina, dal nord della Nigeria, dove Boko Haram minaccia e rapisce le ragazze, solo perché chiedono di andare a scuola.

Potrò sembrarvi una sola ragazza, una sola persona, per di più alta neanche un metro e sessanta coi tacchi. Ma non sono una voce solitaria: io sono tante voci. Sono Shazia. Sono Kainat Riaz. Sono Kainat Somro. Sono Mezon. Sono Amina. Sono quei 66 milioni di ragazze che non possono andare a scuola.

La gente spesso mi chiede perché l’istruzione sia così importante per le ragazze. Rispondo sempre la stessa cosa. Dai primi due capitoli del Corano ho imparato la parola Iqra, che vuol dire “leggere”, e la parola nun wal-qalam, che vuol dire “con la penna”. Per questo, come ho detto lo scorso anno alle Nazioni Unite, «un bambino, un maestro, una penna e un libro possono cambiare il mondo».

Oggi in mezzo mondo vediamo rapidi progressi, modernizzazione
e sviluppo. Ma ci sono paesi dove milioni di persone soffrono ancora dai vecchi problemi della fame, della povertà, delle ingiustizie, dei conflitti. In questo 2014 ci viene ricordato che è passato un secolo dalla prima guerra mondiale, ma ancora non abbiamo imparato la lezione che ci viene dalla morte di quei milioni di vite cent’anni fa.
Ci sono ancora guerre in cui centinaia di migliaia di innocenti perdono la vita. Molte famiglie sono diventate profughe in Siria, a Gaza, in Iraq. Ci sono ancora ragazze che non sono libere di andare a scuola nel nord della Nigeria. In Pakistan e in Afghanistan vediamo persone innocenti che muoiono in attacchi suicidi ed esplosioni di bombe. Molti bambini in Africa non hanno accesso all’istruzione per la povertà. Molti bambini in India e in Pakistan sono deprivati del loro diritto all’istruzione per tabù sociali, o perché sono stati costretti a lavorare o, le bambine, a sposarsi.

Una delle mie migliori amiche a scuola, della mia stessa età, è sempre stata una ragazza coraggiosa e fiduciosa: voleva diventare medico. Ma il suo sogno è rimasto un sogno. A 12 anni è stata costretta a sposarsi e ha avuto un figlio quando era lei stessa ancora una bambina, a quattordici anni. Sono sicura che sarebbe stata un ottimo medico. Ma non ha potuto diventarlo, perché è una ragazza.

La sua storia è il motivo per cui devolvo i soldi del premio Nobel al Fondo Malala, per aiutare le ragazze di tutto il mondo ad avere un’istruzione di qualità e per fare appello ai leader ad aiutare le ragazze come me, Mezun e Amina. Il primo luogo dove andranno i soldi e il paese dove sta il mio cuore, il Pakistan, per costruire scuole, specialmente a Swat e Shangia.

Nel mio villaggio non c’è ancora una scuola superiore per ragazze. Voglio costruirne una, perché i miei amici possano avere un’istruzione – e con essa l’opportunità di raggiungere i loro sogni. Comincerò da lì, ma non mi fermerò lì. Continuerò questa battaglia finché ogni bambino non avrà una scuola. Mi sento più forte dopo l’attacco che ho subito, perché so che nessuno può fermarmi, fermarci, perché siamo milioni e siamo uniti.

Cari fratelli e sorelle, le grandi persone che hanno realizzato dei cambiamenti – come Martin Luther King e Nelson Mandela, Madre Teresa e Aung San Suu Kyi – un giorno hanno parlato da questo palco. Spero che anche i passi intrapresi da me e da Kailash Satyarti finora, e quelli che ancora intraprenderemo
, possano realizzare un cambiamento, e un cambiamento duraturo.
La mia grande speranza è che questa sia l’ultima volta che dobbiamo combattere per l’istruzione dei bambini. Chiediamo a tutti di unirsi e sostenerci nella nostra battaglia, per poter risolvere questa situazione una volta per tutte. Come ho detto, abbiamo già fatto molti passi nella giusta direzione. Ora è il momento di fare un balzo in avanti.

Non serve dire ai leader quant’è importante l’istruzione: lo sanno già, i loro figli sono nelle migliori scuole. È ora di dirgli che devono agire, adesso. Chiediamo ai leader del mondo di unirsi e fare dell’istruzione
la loro priorità numero uno.
Quindici anni fa i leader del mondo decisero di fissare dei traguardi globali, i Millennium Development Goals. Nei prima anni successivi abbiamo visto dei progressi. Il numero di bambini esclusi da scuola è stato dimezzato. Ma il mondo di concentrò solo sull’istruzione
primaria, e i miglioramenti non toccarono tutti.
L’anno prossimo, nel 2015, rappresentati di tutti i paesi si vedranno alle Nazioni Unite per fissare dei nuovi traguardi, i Sustainable Development Goals. Sarà l’occasione per fissare le ambizioni della prossima generazione. I leader devono cogliere quest’opportuni
tà per garantire un’istruzione primaria e superiore gratuità e di qualità a ciascun bambino. Alcuni dicono che sia poco fattibile, o troppo costoso, o troppo difficile. O persino impossibile. Ma è il momento che il mondo pensi in grande.
Cari fratelli e sorelle, il cosiddetto mondo degli adulti può anche capire queste obiezioni, noi bambini no. Perché nazioni che chiamiamo grandi sono così potenti nel provocare guerre, ma troppo deboli per la pace?Perché è così facile darci una pistola, ma così difficile darci un libro? Perché è così facile costruire un carrarmato, ma costruire una scuola è così difficile?

Viviamo nel mondo moderno, nel ventunesimo secolo, e crediamo che nulla è impossibile. Possiamo raggiungere la luna, forse a breve atterreremo su Marte. Per questo, in questo ventunesimo secolo, dobbiamo essere determinati a far realizzare il nostro sogno di un’istruzione di qualità. Realizziamo uguaglianza, giustizia e pace per tutti. Non solo i politici e i leader del mondo, ma tutti dobbiamo fare la nostra parte. Io. Voi. È nostro dovere.

Dobbiamo metterci al lavoro, non aspettare. Chiedo ai ragazzi come me di alzare la testa, in tutto il mondo. Cari fratelli e sorelle, diventiamo la prima generazione a decidere di essere l’ultima: classi vuote, infanzie perdute, potenziale perduto, facciamo in modo che queste cose finiscano con noi.

Che sia l’ultima volta che un bambino o una bambina spendono la loro infanzia in una fabbrica.
Che sia l’ultima volta che una bambina è costretta a sposarsi.
Che sia l’ultima volta che un bambino innocente muore in guerra.
Che sia l’ultima volta che una classe resta vuota.
Che sia l’ultima volta che a una bambina viene detto che l’istruzione è un crimine, non un diritto.
Che sia l’ultima volta che un bambino non può andare a scuola.

Diamo inizio a questa fine. Che finisca con noi. Costruiamo un futuro migliore proprio qui, proprio ora. Grazie.
 
Qui il video con sottotitoli in italiano: https://www.youtube.com/watch?v=VZjewYypLxk

venerdì 9 ottobre 2015

Io qui sono la maestra!


"Sono Baraa Antar. Ho 10 anni.
Io qui sono l'insegnante per i bambini.
Sto insegnando quello che ho imparato nella mia prima classe a scuola.Vengo da Ghouta, un sobborgo di Damasco, Siria, dove vivevo con la mia famiglia al piano terra di un condominio. Poiché mi piace stare da sola ho avuto una camera da letto per me.
Ma è diventato molto spaventoso per le strade. Il nostro edificio era vicino all'ospedale Al Fateh ed era sotto il fuoco dell'esercito og
ni giorno. Tutto nel nostro quartiere è stato distrutto. Compreso il nostro edificio. Siamo fuggiti dalla casa e non avevamo tempo di prendere qualcosa con noi.
Grazie a mio zio Ahmad, che è il capo di un piccolo campo rifugiati in Libano, potemmo andare lì. Altrimenti ora vivremmo per strada.


Quando mi sono un po' abituata alle cose qui nel campo ho notato che tutti i piccoli bambini giocavano tutto il giorno. Ma poiché non c'era la scuola non stavano imparando nulla. Poi il mio amico Nijameh e io abbiamo avuto l'idea di iniziare la nostra propria scuola. Le rocce
divennero sedie e un pezzo di cartone divenne la lavagna. E noi siamo gli insegnanti.

La mattina c'è scuola e facciamo a turno lezioni di matematica e di lingua. E nel pomeriggio siamo impegnati con i preparativi per le lezioni del giorno successivo. Ai bambini piace molto venire alla nostra scuola. Ma quello che mi manca molto, non è non essere in grado di andare a scuola io stessa, perché non c'è una vera e propria scuola. Come insegnante ho bisogno di avere qualche conoscenza in più della mia. "
fonte:
http://www.adnkronos.com/fatti/esteri/2015/01/16/anni-maestra-piu-giovane-del-mondo-insegna-profughi-libano_2UyIBok6toFMZNri9E3EfJ.html

venerdì 2 ottobre 2015

Cari studenti, sono un’insegnante e vi chiedo scusa

Lizanne Foster è un’insegnante canadese e ha scritto questo articolo sul suo blog. Dopo aver ricevuto decine di messaggi dagli studenti italiani, ha risposto con un’altra lettera.
 
Cari studenti delle superiori del ventunesimo secolo,
la settimana prossima comincerà un nuovo semestre e mi sento costretta a chiedervi scusa. Nonostante tutti i nostri sforzi, noi insegnanti non siamo riusciti a persuadere quelli che hanno il potere politico a cambiare il nostro sistema educativo. A quanto sembra, non siamo capaci di convincere il nostro premier che investire sulla vostra istruzione andrebbe a vantaggio di tutti noi e non inquinerebbe né l’acqua né l’aria.
Perciò, finché i vostri bisogni educativi non prevarranno su quelli delle multinazionali straniere, vi prego di accettare le mie scuse. 

Mi dispiace che dobbiate venire a scuola così presto la mattina, anche se varie ricerche nel campo delle neuroscienze hanno appurato che il cervello degli adolescenti non funziona in modo ottimale prima delle dieci. 

Mi dispiace che dobbiate chiedermi il permesso di uscire dalla classe per andare a fare pipì anche se avete già la patente, un lavoro part-time e state prendendo decisioni importanti per il vostro futuro dopo la scuola. 

Mi dispiace che ogni giorno siate costretti a stare seduti per sei ore anche se molti studi hanno dimostrato che stare seduti troppo a lungo danneggia sia le capacità cognitive sia la salute. 

Mi dispiace che siate divisi per età e costretti a procedere attraverso il sistema scolastico con i vostri coetanei come se l’età anagrafica avesse qualcosa a che vedere con l’intelletto, la maturità, le competenze o l’abilità. 

Mi dispiace che quelli di voi che incontrano difficoltà a scuola non ricevano il giusto sostegno perché finanziare i vostri bisogni non è tra le priorità dell’attuale politica economica. 

Mi dispiace che dobbiate studiare materie che non vi interessano in un’epoca in cui la somma totale delle conoscenze umane raddoppia ogni dodici mesi. 

Mi dispiace che vi facciano credere che per ottenere il massimo dei voti dovete competere tra voi, quando i progressi umani sono sempre stati frutto di una collaborazione che spesso a scuola viene considerata “imbrogliare”. 

Mi dispiace che siate costretti a usare dei libri di testo che contengono informazioni superate e troviate a scuola tecnologie obsolete della cui manutenzione nessuno si occupa. 

Mi dispiace che quello che chiamano insegnamento personalizzato in realtà non lo sia affatto. L’insegnamento veramente personalizzato costa troppo, lo capite? 

Mi dispiace che sia improbabile che la Strategia innovativa, la riforma scolastica della British Columbia tanto strombazzata dal governo attuale, produca cambiamenti significativi a parte un nuovo modo per calcolare quello che si fa a scuola. 

Ma, soprattutto, mi dispiace che il sistema educativo vi costringa a far parte di un’economia estrattiva quando il nostro ambiente, senza il quale non ci sarebbe nessuna economia, sta subendo una crisi climatica che ci imporrà una rapida riconfigurazione di tutto quello che stiamo facendo in campo sociale, politico ed economico, e per la quale siamo del tutto impreparati. 

Mi dispiace moltissimo. 

Vorrei che la vostra curiosità non fosse soffocata dal conformismo scolastico. 

Vorrei avere una bacchetta magica per darvi il tipo di scuola in cui ci sono spazi per analizzare ed esplorare, sperimentare e apprendere in modo diverso. 

Vorrei avere il potere di riaccendere la passione e il desiderio di imparare che leggo nei vostri occhi prima che entriate a scuola. 

Vorrei potervi aiutare a ricordare che prima di essere studenti eravate scienziati che sperimentavano, scoprivano, si ponevano domande e facevano collegamenti
Eravate anche poeti… vi ricordate quanto divertiva e sorprendeva gli adulti intorno a voi il modo in cui descrivevate le cose?

Siete nati per imparare. Non potete non imparare. 

Mi dispiace che vi facciano credere che l’unico apprendimento che conta sia quello che avviene a scuola. Anzi, poi, solo quello che avviene in classe. E nemmeno conta tutto quello che si impara in classe: alla fine conta solo quello che troverete nei test. 

Vorrei potervi portare in altri posti dove il sistema educativo pubblico è una priorità di politici convinti che la futura società del loro paese dipenderà dalle caratteristiche del sistema educativo.
In un’epoca in cui la nostra vita dipende dall’ingegnosità nel risolvere i problemi più difficili, sprechiamo le potenzialità che ha la nostra mente di trovare soluzioni creative. L’adolescenza è il periodo in cui gli esseri umani raggiungono il culmine del loro sviluppo cognitivo. Le prove della vostra capacità di pensare “fuori degli schemi” e di trovare soluzioni creative sono ovunque intorno a noi. 

Vorrei poter mostrare alle autorità ciò che dovrebbero vedere per rendersi conto di quello che siete capaci di fare, se solo ve ne dessero la possibilità.
Se solo… 

Con sincero affetto.
Un’insegnante 

(Traduzione di Bruna Tortorella)

fonte internazionale.it