giovedì 28 gennaio 2016

Scuola Zoo

Chi siamo


Oggi quasi tutti gli studenti di Italia sanno che ScuolaZoo è il rappresentante di classe su cui fare affidamento se hai un problema, il genio da ascoltare durante le verifiche e il compagno con cui ridere e divertirsi all’intervallo, ma come è nata ScuolaZoo?
L’avventura di ScuolaZoo ebbe inizio dalle diaboliche menti di due studenti Padovani Francesco e Paolo all’ultimo anno delle superiori, quello della maturità. Tutto cominciò con un piccolo blog dove gli studenti caricavano video divertenti girati nelle scuole italiane. Iniziarono ad arrivare centinaia e centinaia di segnalazioni e di video dagli studenti di tutt’Italia e quindi i due capirono che il loro “passatempo” piaceva a moltissimi altri ragazzi.
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Finché Paolo non pubblicò la foto del suo prof d’Italiano addormentatosi durante gli Esami di Maturità. Tutti i giornali e i telegiornali d’Italia parlarono dell’accaduto incoronando i due studenti di fama e popolarità. Così, per tutti gli studenti d’Italia, diventarono un modello da seguire per smascherare tutto ciò che nelle scuole italiane non funziona. Persino il Ministro dell’Istruzione si è interessato al prof. di Paolo e così ecco i due fondatori di ScuolaZoo andare in prima serata su MTV insieme al Ministro per denunciare il tutto.
Il blog di ScuolaZoo diventò un sito vero e proprio. I video, le note di classe divertenti e gli aiuti forniti agli studenti diventarono tantissimi. Francesco e Paolo non riuscivano a fare tutto da soli, per cui arrivarono amici e conoscenti a popolare il team di ScuolaZoo. Nei laboratori segreti le menti dei fondatori partorirono anche diaboliche invenzioni per aiutare gli studenti a superare il “vuoto cosmico” che a volte colpisce le nostre menti durante i compiti in classe. Inoltre con l’aiuto di Betty cominciarono a organizzare viaggi estivi e invernali per studenti, in giro per l’Italia e l’Europa e a pubblicare il meglio dei contenuti della community sul famosissimo diario di ScuolaZoo, compagno di risate, appunti e giochi di oltre 200.000 ragazzi!
Visto che il sito e la pagina Facebook diventarono i più seguiti d’Italia, il gruppo di ScuolaZoo diventò sempre più numeroso proprio per poter offrire a tutta la community contenuti non solo divertenti, ma anche utili e informativi. Infatti ci siamo trasformati in un giornale online, abbiamo iniziato a pubblicare articoli veri e propri per raccontare a tutti gli studenti cosa succede nel mondo, ma in modo comprensibile e dal punto di vista di noi ragazzi.
È ai compagni di quinta superiore a cui diamo maggior attenzione, la Maturità è la Maturità e quindi abbiamo creato una sezione del sito e una pagina facebook ad hoc per i maturandi, giriamo l’Italia in occasione dei famosi 100 giorni e la “Notte prima degli esami” ci stringiamo insieme a cantare Venditti e augurarci di vederci presto a Corfù, destinazione tra le più famose per il Viaggio di Maturità by ScuolaZoo.

Anche se stiamo crescendo non potevamo dimenticarci come tutto è nato dalla denuncia del prof. di Paolo e quindi come ScuolaZoo offriamo sostegno gratuito a chi è vittima di “mala istruzione” con i Giuristi; ci siamo inventati la lista ScuolaZoo a sostegno dei Rappresentanti d’Istituto, movimentiamo le Assemblee d’Istituto degli studenti d’Italia…

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Insomma il gruppo di ScuolaZoo è diventato il rappresentante di classe e il compagno di banco di tutti gli studenti dai 14 anni fino alla maturità, con mille e una attività in corso. La nostra missione è ormai chiara a tutti: portare in tutte le scuole d’Italia un vero e proprio cambiamento, partendo dalla nostra doppia anima che è sia Scuola sia Zoo: ci piace infatti andare bene a scuola, conoscere, imparare (senza fare troppo i secchioni però!), ci piace proporre idee nuove e rendere le nostre aule dei posti più giusti e stimolanti dove apprendere e crescere ogni giorno; ma siamo anche Zoo, il che non vuol dire che ci piace abbaiare o urlare come gorilla, semplicemente amiamo divertirci e prendere la vita con un sorriso, in classe, durante i nostri viaggi, sui social network e perché no, anche con i professori. Certo non avremo la media più alta della scuola, ma siamo riusciti a far sorridere tutti i prof, anche quello di latino!

Vuoi contattarci?
Chiama lo 02 89950340 o scrivi a scuolazoo@gmail.com ti risponderà la nostra Francy :-)
Se hai qualcosa da dirci sulla tua scuola ecco i contatti della redazione
Se, invece, vuoi contattare Paolo, il fondatore di ScuolaZoo, scrivi a paolo.fondatore@scuolazoo.it

lunedì 25 gennaio 2016

Bambini minatori



Quanti adolescenti adoperano la tecnologia e la gettano anno dopo anno per rinnovarla con gli ultimi modelli usciti per "sentirsi più fighi"? Tantissimi. E quante sono le ore che i minorenni del Congo lavorano in miniera per estrarre il cobalto per far sentire "fighi" gli altri loro coetanei? Tantissime.
Vi lascio alla lettura di questo articolo-inchiesta e vi auguro di rifletterci su in abbondanza quando vi verrà in mente di voler sostituire un apparecchio funzionante con uno più nuovo solo perché la gli spot pubblicitari vi fanno credere che sarete "al passo con i tempi" se lo possederete. (...) Pensateci su... pensate con la vostra testa.


La maledizione del cobalto: lavoro minorile e sfruttamento
per gli smart phone e le batterie delle automobili

 articolo di Riccardo Noury
pubblicato il 19 gennaio 2016 su Le persone e la dignità

Repubblica democratica del Congo

In un rapporto pubblicato oggi, Amnesty International e Afrewatch hanno chiesto alle aziende di apparecchi elettronici e alle fabbriche automobilistiche di dimostrare che il cobalto estratto nella Repubblica Democratica del Congo grazie al lavoro minorile non viene usato nei loro prodotti.

Il rapporto ricostruisce il percorso del cobalto estratto nella Repubblica Democratica del Congo: attraverso la Congo Dongfang Mining (Cdm), interamente controllata dal gigante minerario cinese Zheijang Huayou Cobalt Ltd (Huayou Cobalt), il cobalto lavorato viene venduto a tre aziende che producono batterie per smart phone e automobili: Ningbo Shanshan e Tianjin Bamo in Cina e L&F Materials in Corea del Sud. Queste ultime riforniscono le aziende che vendono prodotti elettronici e automobili.

Ai fini della stesura del rapporto, Amnesty International ha contattato 16 multinazionali che risultano clienti delle tre aziende che producono batterie utilizzando il cobalto proveniente dalla Huayou Cobalt o da altri fornitori della Repubblica Democratica del Congo: Ahong, Apple, BYD, Daimler, Dell, HP, Huawei, Inventec, Lenovo, LG, Microsoft, Samsung, Sony, Vodafone, Volkswagen e ZTE.

Una ha ammesso la relazione, quattro hanno risposto che non lo sapevano, cinque hanno negato di usare cobalto della Huayou Cobalt, due hanno respinto l’evidenza di rifornirsi di cobalto della Repubblica Democratica del Congo e sei hanno promesso indagini.
Nessuna delle 16 aziende è stata in grado di fornire informazioni dettagliate, sulle quali poter svolgere indagini indipendenti per capire da dove venga il cobalto.

Il fatto certo è che la Repubblica Democratica del Congo produce quasi la metà del cobalto a livello mondiale e che oltre il 40 per cento del cobalto trattato dalla Huayou Cobalt proviene da quello stato.
Mentre le aziende produttrici di apparecchi elettronici o batterie automobilistiche fanno lucrosissimi profitti, calcolabili in 125 miliardi di dollari l’anno, e non riescono a dire da dove si procurano le materie prime, nella Repubblica Democratica del Congo i bambini minatori – senza protezioni fondamentali come guanti e mascherine – perdono la vita: almeno 80, solo nel sud del paese, tra settembre 2014 e dicembre 2015 e chissà quanto questo numero è inferiore a quello reale.

Secondo l’Unicef, nel 2014 circa 40.000 bambini lavoravano nelle miniere delle regioni meridionali della Repubblica Democratica del Congo. Prevalentemente, nelle miniere di cobalto.
Come Paul, 14 anni, orfano. È uno degli 87 minatori o ex minatori incontrati da Amnesty International in vista del rapporto. Ha iniziato a lavorare nella miniera a 12 anni. Ha già i polmoni a pezzi:

“Passo praticamente 24 ore nei tunnel. Arrivo presto la mattina e vado via la mattina dopo. Riposo dentro i tunnel. La mia madre adottiva voleva mandarmi a scuola, mio padre adottivo invece ha deciso di mandarmi nelle miniere”.

Il cobalto è al centro di un mercato globale privo di qualsiasi regolamentazione. Non è neanche inserito nella lista dei “minerali dei conflitti” che comprende invece oro, coltan, stagno e tungsteno

martedì 19 gennaio 2016

Bullismo

questo commento contro il bullismo è stato scritto il 17 gennaio 2016 da un insegnante di Pordenone, il Prof. Enrico Galiano


Oggi una ragazza della mia città ha cercato di uccidersi.
Ha preso e si è buttata dal secondo piano.
No, non è morta. Ma la botta che ha preso ha rischiato di farle prendere la spina dorsale. Per poco non le succedeva qualcosa di forse peggiore della morte: la condanna a restare tutta la vita immobile e senza poter comunicare con gli altri normalmente.


“Adesso sarete contenti”, ha scritto. Parlava ai suoi compagni.

Allora io adesso vi dico una cosa. E sarò un po’ duro, vi avverto. Ma c’ho ‘sta cosa dentro ed è difficile lasciarla lì.

Quando la finirete?
Quando finirete di mettervi in due, in tre, in cinque, in dieci contro uno?
Quando finirete di far finta che le parole non siano importanti, che siano “solo parole”, che non abbiano conseguenze, e poi di mettervi lì a scrivere quei messaggi – li ho letti, sì, i messaggi che siete capaci di scrivere – tutte le vostre “troia di merda”, i vostri “figlio di puttana”, i vostri “devi morire”.

Quando la finirete di dire “Ma sì, io scherzavo” dopo essere stati capaci di scrivere “non meriti di esistere”?
Quando la finirete di ridere, e di ridere così forte, quando passa la ragazza grassa, quando la finirete di indicare col dito il ragazzo “che ha il professore di sostegno”, quando la finirete di dividere il mondo in fighi e sfigati?

Che cosa deve ancora succedere, perché la finiate? Che cosa aspettate? Che tocchi al vostro compagno, alla vostra amica, a vostra sorella, a voi?

E poi voi. Voi genitori, sì. Voi che i vostri figli sono quelli capaci di scrivere certi messaggi. O quelli che ridono così forte.
Quando la finirete di chiudere un occhio?
Quando la finirete di dire “Ma sì, ragazzate”?
Quando la finirete di non avere idea di che diavolo ci fanno 8 ore al giorno i vostri figli con quel telefono?

Quando la finirete di non leggere neanche le note e le comunicazioni che scriviamo sul libretto personale?
Quando la finirete di venire da noi insegnanti una volta l’anno (se va bene)?
Quando inizierete a spiegare ai vostri figli che la diversità non è una malattia, o un fatto da deridere, quando inizierete a non essere voi i primi a farlo, perché da sempre non sono le parole ma gli esempi, gli insegnamenti migliori? 

Perché quando una ragazzina di dodici anni prova a buttarsi di sotto, non è solo una ragazzina di dodici anni che lo sta facendo: siamo tutti noi. E se una ragazzina di quell’età decide di buttarsi, non lo sta facendo da sola: una piccola spinta arriva da tutti quelli che erano lì non hanno visto, non hanno fatto, non hanno detto.

E tutti noi, proprio tutti, siamo quelli che quando succedono cose come questa devono vedere, fare, dire. Anzi urlare. Una parola, una sola, che è: “Basta”.


Su questo suo post i commenti sono arrivati a quota 6.863, ma di certo non se ne era accorto che stavano aumentando quando ieri (20 gennaio) ha deciso di scrivere il seguente post:

(rispondere a 4 mila commenti è un po' duretta, così ho scritto 'sta roba qui)

E insomma ieri sono entrato in classe e niente lezione: via libri, esercizi, quaderni, perché quando succede una cosa come questa come fai a far finta di niente, come fai a parlargli di analisi logica, quando nemmeno tu lo sai più dove sta, la logica.
Ce li avevo lì davanti, loro, ragazzini della stessa età della ragazza, stesse facce, stessi brufoli, stesse paure, stessi apparecchi per i denti, stessi capelli che non stanno mai come vorresti, stessi occhi persi, stessi genitori che non capiscono, stessi insegnanti che stressano.
Stessi fianchi troppo grossi, stessi sogni troppo grandi. 

Come glielo dici, a quegli occhi lì, che una ragazza come loro ha guardato una finestra ed è stata come risucchiata, che un mattino come tanti si è alzata e ha pensato che non avrebbe più voluto farlo? Dura, sì, dura. Non le trovi subito, le parole. Perché loro lo sanno benissimo, come ci si sente. Noi qui, grandi, spalle forti, adulti che ormai hanno un posto nel mondo, noi che “ma sì ci siamo passati tutti”. In realtà, ed è ora che ce ne rendiamo conto, no: non ci siamo già passati tutti.

Oggi è diverso. Una volta, se eri vittima di persecuzioni, potevi tornare a casa, chiuderti in camera, lasciare il mondo fuori. Oggi il mondo, se ti vuole male, ti segue anche lì. Non ti molla mai.

Molti hanno commentato, detto la loro, giudicato, ma la descrizione migliore di come ci si sente me l’ha data Eleonora, anni 13, quando mi ha detto “Ti senti sempre sporca. Ti lavi, tu, ma poi ti senti lo stesso sporca”.

A vent’anni, a trenta, le parole degli altri riesci a fartele scivolare via. A dodici no. A dodici interiorizzi tutto. A dodici interiorizzi anche se uno ti dice solo “Ciao”. Figuriamoci “Spero che tu muoia”.
Certe cose, se succedono a dodici anni, ti restano attaccate a vita.

E poi quasi tutti lì a pensare a come punire, a cosa fare, alcuni con parole che mi vergogno che siano comparse sulla mia bacheca, come “li vorrei buttare loro dalla finestra”.
Posso dirvelo? Non avete capito niente.

Certo che bisogna pensare a come punire. Ma è il prima la cosa importante. Arrivare al punto che un ragazzo di dodici anni lo sappia quanto male può fare: ma prima di farlo. Occorre spiegare loro che non si uccide la gente, che rubare è sbagliato, che rompere le cose degli altri non si fa? No, perché lo sanno già.

Ebbene, vi svelo un segreto: molti di loro non ci vedono nulla di così sbagliato nello scrivere “devi morire” su whatsapp a una loro coetanea.
E qui sbagliamo tutti. Genitori, insegnanti, tutti. Se un ragazzo a quell’età non si rende conto di quanto male possono fare le parole, non è perché “è cattivo”: è perché non glielo abbiamo insegnato. Se trova “divertente” prendere in giro il turbante del compagno, lanciare cartacce in faccia alla ragazza timida e impacciata, è perché non gli abbiamo insegnato che cos’è la diversità, il rispetto per le differenze, la curiosità per l’altro.

Quante volte abbiamo preferito andare avanti, fare lezione, anche se avevamo davanti ragazzi che stavano malissimo e glielo vedevi chiaro in faccia?
Quante volte abbiamo detto anche noi “ragazzate”, quando se andavi un po’ più a fondo ti saresti forse reso conto che era molto più grave?
Quante volte non con le parole, ma con il nostro comportamento, noi stessi non siamo stati un buon esempio?

Non ci sono colpevoli o non colpevoli, quando una ragazza di dodici anni fa una cosa del genere. Quando succede, valgono le parole di Prince Escalus alla fine di Romeo e Giulietta, e cioè: “Tutti sono puniti”.
Non sono stati i tre o quattro bulli. Siamo stati tutti.